giovedì 11 giugno 2015

Eros e Thanatos – Amore e odio: quando l’amore “ferisce”

In Italia, con l’approvazione del  DDL del 15 Gennaio 2009 da parte della Commissione Giustizia della Camera, a seguito di tanti eventi delittuosi, viene introdotto il reato di stalking nel Codice Penale.

Il termine inglese stalker deriva dal linguaggio tecnico della caccia: inseguire, dare la caccia, braccare, pedinare. È costituito da comportamenti come telefonate, lettere anonime, pedinamenti, minacce e aggressioni nella vita privata di un’altra persona, mettendo in atto una violazione della libertà personale.

L’attenzione verso questo fenomeno nasce negli Stati Uniti a seguito del caso di molestie ed il successivo omicidio di Rebecca Schaeffer, un’attrice televisiva uccisa nel 1989 da un ammiratore affetto da problemi mentali.

Secondo il Codice Antistalking redatto dal Congresso degli Stati Uniti nel 1992, per parlare di stalking è necessaria la presenza di alcuni elementi, quali: una condotta continuativa volta a seguire e/o minacciare; la reiterazione per almeno due volte; attenzione rivolta, oltre che alla vittima, anche ai membri della sua famiglia; consapevolezza della capacità dell’azione messa in atto di incutere timore.

Molti elementi possono preannunciare un comportamento violento, ma spesso la donna non li considera come un pericolo.

Per capire Thanatos bisogna comprendere anche Eros, attraverso lo sviluppo dell’affettività.

Lo sviluppo affettivo che un individuo attraversa nei primi anni di vita può influenzare l’evoluzione e la costruzione dell’identità.

Autori come Spitz e Bowlby hanno evidenziato le conseguenze della deprivazione affettiva durante l’infanzia, tra cui rallentamento nello sviluppo psico – fisico, gravi alterazioni della sfera affettiva, difficoltà nell’instaurare relazioni  affettive, deterioramento delle facoltà cognitive.

Dal punto di vista clinico, già la psichiatria ottocentesca aveva già evidenziato la persecuzione intrusiva legata alle relazioni affettive, mentre nel ‘900 è stata delineata la figura del persecutore “erotomane”.

Come già detto,  il fenomeno stalking è costituito da ripetute, indesiderate comunicazioni e/o intrusioni inflitte da un individuo a un altro e che producono paura e ricerca di controllo sull’altro, come succede ad esempio anche nell’esibizionismo e nella scatologia telefonica (parafilie) dove troviamo la volontà di “sorprendere” l’altro privandolo della propria libertà individuale ed entrando di forza nella sfera intima dell’altro.

Negli episodi di persecuzione ed uccisione della donna, a differenza degli omicidi seriali, avviene quando questa si rifiuta di soddisfare le richieste del partner (e/o ex) in quanto decide di uscire dalla  sfera di influenza psicologica di quest’ultimo; è in questo momento di ricerca di indipendenza e libertà che l’uomo sente che ha perso la sua “proprietà” e la non tolleranza della frustrazione del rifiuto consente loro di vedere come unica opzione disponibile il ricorso ad una violenza letale.

Caratteristica fondamentale del persecutore è quella di avere una struttura narcisistica di personalità che gli impedisce di instaurare adeguate relazioni oggettuali: per il narcisista l’altro non esiste in quanto essere autonomo con le sue esigenze, ma semplicemente come specchio per il proprio ego e per manifestare il proprio potere.

Il narcisista intrattiene relazioni con degli oggetti – sé ed evita qualsiasi scambio autentico di emozioni, proprio come fa il persecutore che, anche se dice “ti amo” all’oggetto delle sue molestie, in realtà sta pronunciando parole vuote, prive di significato, perché appunto all’altro non viene riconosciuta la possibilità di regolare il rapporto, ma deve solamente sottostare ai ritmi imposti dallo stalker.

Trasformazione della relazione d’oggetto in una relazione di potere nella quale l’obiettivo principale è il mantenimento del controllo assoluto: controllo e intrusione nelle frequentazioni e amicizie, o nelle abitudini quotidiane della donna; uso di minacce e intimidazioni; messa in atto di un comportamento possessivo formato da complimenti alternati ad atteggiamenti denigratori e svalutanti; uso continuo dei meccanismi della consapevolezza e del ricatto.

All’inizio, il soggetto perverso non cerca di distruggere la vittima, ma esercita una forma di seduzione per conquistarne la fiducia e ottenere il controllo della relazione fino ad arrivare a minacce ed intimidazioni: chiamate/messaggi insistenti; controllo economico, negli spostamenti e nelle amicizie; critiche nel modo di vestire; rimproveri davanti altre persone; critiche verso le amicizie; umiliazioni, insulti, violenza fisica e pressione psicologica.

È evidente come lo stalker utilizzi il potere all’interno della relazione sentimentale, con l’obiettivo di mantenere il controllo sul proprio oggetto sia da un punto di vista fisico che psicologico.La ricerca del potere utilizza una forma perversa di comunicazione: dapprima la conquista della fiducia della vittima attraverso un comportamento adeguatamente buono; una volta ottenuta la fiducia ogni successivo messaggio ha lo scopo di minacciare e intimidire. A lungo andare questa modalità comunicativa e l’intrattenimento di relazioni patologiche può portare ad un agito narcisistico sino ad arrivare al disturbo antisociale e alla vera e propria psicopatia.

 

Maria I. Cattolico

Psicologa

 
 

Bibliografia
BOWLBY J. (1988) Cure materne ed igiene mentale del fanciullo. Giunti Barbera, Firenze.
DE LUCA R. (1998) Anatomia del serial killer. Nuove proposte per un’analisi psico – socio – criminologia dell’omicidio seriale. Giuffrè Editore, Milano.
DE LUCA R. (2009) Donne assassinate. Dall’omicidio seriale allo stupro di gruppo, storia e fenomenologia della guerra condotta dal genere maschile contro “l’altra metà del cielo”. Newton Compton Editori, Roma.
FILIPPINI S. (2005) Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia. FrancoAngeli, Milano.
KOHUT H. (1978) tr. it.: La ricerca del Sé. Boringhieri, Torino, 1982.
SERRA C. (2000) Proposte di criminologia applicata. Giuffrè Editore, Milano, 2003.
TANI C. (2003) Amori crudeli. Quando si uccide chi si ama. Armando Arnoldo Mondadori S. p. a., Milano.
 
 

 

mercoledì 15 aprile 2015

I diritti dei nonni sui nipoti in caso di separazione o divorzio

Dopo un giudizio di separazione o di divorzio, spesso ai nonni viene negato il diritto di continuare a mantenere un regolare e pacifico rapporto con i propri nipoti. Capita infatti che, a seguito della rottura del rapporto matrimoniale, uno dei due coniugi ostacoli il rapporto tra i figli minori ed i nonni, impedendo a volte anche la frequentazione. Sebbene non si possa parlare di un vero e proprio diritto di visita dei nonni nei confronti dei nipoti, l'ordinamento prevede forme di tutela affinché il rapporto tra nipoti e nonni possa rimanere vivo anche dopo la fine del vincolo matrimoniale tra i genitori.
La legge n. 54 del 2006, al fine di preservare il diritto al rispetto e alla protezione delle relazioni familiari, non si è limitata a garantire il rapporto dei figli con entrambi i genitori, ma ha tutelato anche le relazioni con i nonni, fratelli e zii.
Il nuovo art. 155 del codice civile stabilisce che, "anche in caso di separazione personale dei genitori, il minore ha il diritto di avere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, e di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi", aggiungendo allo stesso tempo il diritto di "conservare rapporti significativi non solo con i nonni ma anche con i parenti di ciascun ramo genitoriale".
Pur non essendo titolari di un vero e proprio diritto di visita, i nonni possono ottenere tutela in sede giudiziaria, essendo portatori di un interesse legittimo ad avere con i nipoti una stabile e continua frequentazione.
Qualora venga posto in essere un comportamento ostruzionistico, i nonni possono ricorrere al tribunale dei minorenni e chiedere di verificare il corretto esercizio della potestà genitoriale, per accertare se il comportamento di uno dei genitori o di entrambi tuteli correttamente l'interesse dei figli.
(Cassazione Civile, sez. I, 30 settembre 2010, n. 20509. L'art. 147 cod. civ. impone ai genitori l'obbligo di mantenere i propri figli. Tale obbligo grava su di essi in senso primario ed integrale, il che comporta che se l'uno dei due non voglia o non possa adempiere, l'altro deve farvi fronte con tutte le sue risorse patrimoniali e reddituali e deve sfruttare la sua capacità di lavoro, salva comunque la possibilità di agire contro l'inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle sue condizioni economiche. Solo in via sussidiaria, dunque succedanea, si concretizza l'obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari per adempiere al loro dovere nei confronti dei figli previsto dall'art. 148 cod. civ., che comunque trova ingresso non già perché uno dei due genitori sia rimasto inadempiente al proprio obbligo, ma se ed in quanto l'altro genitore non abbia mezzi per provvedervi).
Al fine di ottenere dai nonni il mantenimento economico a favore del minore, occorre che uno dei genitori presenti, dinanzi al tribunale competente per territorio, ricorso ex art. 148 comma II cod. civ. . Solo però in via sussidiaria, cioè quando nemmeno la possibilità economica del genitore adempiente è sufficiente, i nonni saranno tenuti a intervenire. L'obbligazione dei nonni potrà anche concorrere con quella dei genitori cquando l'apporto di questi ultimi risulti non adeguato. Bisogna, però, tenere conto della condizione economica dei nonni, e qualora questi, con il loro reddito riescano a stento a fare fronte ai propri bisogni primari, non potrà essere chiesto loro di provvedere al mantenimento dei nipoti.

Lo studio legale Aprile segue anche casi di tutela dei diritti dei nonni sui nipoti in caso di separazione o divorzio.
Per eventuali informazioni, avv.valeriaaprile@libero.it

venerdì 27 marzo 2015

La violenza psicologica

Troppe volte si cade nell’errore di considerare la violenza fisica l’unica forma di violenza a cui è soggetta una donna, forse perché è quella più facile da dimostrare.
C’è invece un’altra forma di violenza più grave perché avviene in maniera subdola, difficile da riconoscere e da provare, ed è la violenza psicologica.
Il GASLIGHTING è un insieme di comportamenti posti in essere nei confronti di una persona per confonderla, farle perdere la fiducia in se stessa, farla sentire sbagliata, renderla dipendente fino a farla dubitare della sua sanità mentale.
Scopo di un tale atteggiamento è rendere la persona insicura sicchè si possa avere un totale controllo sulla vita di quest’ultima.
Le umiliazioni spesso riguardano il modo di essere della persona che viene denigrata in ogni momento della propria quotidianità mettendo in discussione il ruolo che la donna occupa ritenendola sempre inidonea ed inutile.
Oltre a frasi offensive ed umilianti, che con il trascorrere del tempo rendono la donna sempre più insicura e dipendente dal partner, il controllo avviene cercando di allontanare la persona dalla propria famiglia, dalle proprie amicizie, impedendole di lavorare o praticare sport.
A volte anche per non mostrare il disagio che si prova la donna preferisce non confidarsi con nessuno e chiudersi in se stessa.
UMILIARE, SVILIRE, RIDICOLIZZARE, costituiscono atti peculiari alla violenza psicologica.
La donna che subisce atti di vilenza psicologica spesso entra nella convinzione di essere realmente inadeguata, e finisce per affidarsi totalmente al volere dell’altro che condiziona ogni sua scelta.
A volte invece si ha la forza di reagire riacquistando la propria autostima, e questo repentino cambiamento determina nell’altro una reazione che può essere anche violenta. 
Per riconoscere se si sta subendo effettivamente una forma di violenza psicologica, è necessario che i comportamenti illustrati siano ripetitivi e protratti nel tempo.
La ripetitività ed il carattere umiliante di tali situazioni possono provocare un vero e proprio processo distruttivo a livello psicologico.
Dimostrare la violenza psicologica è cosa difficile perché non esistono confini determinati per valutarla e la stessa azione può essere valutata in maniera differente a seconda della persona che la valuta, ma non è cosa impossibile se si chiede l’aiuto di figure professionali idonee.
Sarebbero necessarie iniziative in cui illustrare i casi in cui si è vittima di violenza psicologica, allo scopo di prevenire il rischio di diventarne vittime.
In ogni caso tale comportamento è punibile, anche se spesso è difficile ricevere tutela senza prove.
Ma la denuncia è l’unico strumento di difesa anche al fine di determinare l’allontanamento dello gashlighter.
Lo studio legale Aprile, con l’ausilio di psicologhe e psicoterapeutiche, è disponibile ad accompagnare chiunque ritenga di essere vittima di violenza psicologica durante tutto il percorso legale e psicologico necessario al raggiungimento della punizione del colpevole.

domenica 8 marzo 2015

Le cause estintive del diritto al mantenimento

L’assegno di mantenimento ha la finalità di tutelare i figli ed il coniuge economicamente più debole garantendo, a seguito della separazione o del divorzio, l'adempimento dei doveri assistenziali e solidaristici nascenti dal matrimonio, garantendo il mantenimento delle condizioni economiche ed il tenore di vita esistenti in costanza di matrimonio.
L’assegno, però, non è immutabile nel tempo ma può essere modificato o revocato al variare delle condizioni economiche dell’avente diritto.
L’obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli permane, indipendentemente da raggiungimento della maggiore età, fino al raggiungimento della autosufficienza economica tale da poter provvedere da soli alle proprie esigenze con la percezione “di un reddito corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato” (Cass. n. 20137/2013).
E’indirizzo costante ed uniforme della giurisprudenza che i genitore che voglia far valere la cessazione del diritto al mantenimento nei confronti del figlio maggiorenne debba provare che la mancata autosufficienza derivi dall’inerzia o dalla negligenza dello stesso ovvero dipenda da fatto a lui imputabile (Cass. n. 7970/2013).
Mentre non rileva ai fini dell’esclusione dell’assegno la costituzione, da parte del figlio maggiorenne, di un nucleo familiare, salvo che non si tratti di “una nuova entità familiare autonoma e finanziariamente indipendente” (Cass. n. 1830/2011).

Riguardo al mantenimento dell’ex coniuge le cause estintive del diritto possono essere così elencate:

a) addebito della separazione.
L’addebito viene pronunciato dal Giudice quando la separazione è stata determinata dal comportamento di uno dei coniugi contrario ai doveri che derivano dal matrimonio (violazione dell’obbligo di fedeltà, coabitazione, assistenza…).
La pronuncia dell’addebito determina la perdita del diritto all’assegno di mantenimento ex art. 156 I° comma c.c., oltre alla perdita dei diritti successori nei confronti del’altro coniuge.

b) redditi propri e capacità di spesa.
Il presupposto dell’assegno di mantenimento è a mancanza di adeguati redditi propri ovvero non solo l’assenza di alcun tipo di reddito ma anche la titolarità di redditi che non consentono di mantenere un tenore di vota analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
Le capacità lavorative del coniuge o le possibilità di percepire un reddito, valutate in astratto, non costituiscono elemento che possa concorrere all’esonero dell’assegno considerato che il diritto al mantenimento del coniuge debole non è legato all’incapacità lavorativa bensì all’esigenza di conservare un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 3502/2013).
Nella valutazione dei redditi del coniuge avente diritto la giurisprudenza ha affermato che l’accertamento va condotto non solo sui redditi propri o direttamente fruibili dallo stesso ma anche in modo indiretto attraverso la “capacità di spesa de coniuge”.
Per escludere il diritto al mantenimento non solo la mancanza di entrate ma anche le uscite possono essere utilizzate come prova di un reddito adeguato, in quanto possibili solo in presenza di un’entrata o di un reddito (Cass. n. 24667/2013).
Non possono essere considerati redditi, gli aiuti da parte dei familiari, perché sugli stessi il coniuge non può fare affidamento costante né avanzare pretese.


L’assegno può infine venir meno ove il coniuge beneficiario acquisti iure hereditatis la proprietà di un immobile o comunque una eredità consistente tale da assicurare un miglioramento economico che possa garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio (Cass. n. 932/2014) mentre una eredità di modesto valore “non altera l’equilibrio raggiunto con la determinazione dell’assegno” (Cass. n. 20408/2011)


c) convivenza o nuove nozze
La costituzione di una nuova famiglia anche di fatto dal parte del coniuge separato o divorziato tenuto alla corresponsione del’assegno di mantenimento non legittima di per sé l’esonero dall’obbligo nei confronti dei figli né dell’ex coniuge, poiché è espressione di una libera scelta che lascia inalterata la consistenza degli obblighi determinati in sede di separazione o divorzio (Cass. n. 12212/2001), potendo semmai influire sulla modifica del valore dell’assegno in base al miglioramento o al peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. n. 24506/2006).
Quando, invece, a costituire un nuovo nucleo familiare è l’avente diritto all’assegno di mantenimento assume rilievo non solo il passaggio a nuove nozze che determina la perdita del diritto al mantenimento ma anche la mera convivenza, posto che la situazione modifica la condizione personale dell’ex coniuge.
Deve però trattarsi di una relazione avente i caratteri della stabilità, della continuità e della regolarità.
La Cassazione ha affermato che il diritto a mantenimento viene meno quando si crea una nuova famiglia poiché la convivenza e la relativa prestazione di assistenza da parte del convivente costituisce elemento da valutare in ordine alla disponibilità di “mezzi adeguati” rispetto al parametro rappresentato dal tenore di vita goduto del corso delle nozze (Cass. n. 25845/2013).

d) morte del coniuge

L’assegno di mantenimento si estingue nel momento della morte di colui che è obbligato a versarlo.
L’avente diritto, però, può ottenere una quota dell’eredità proporzionale alla somma percepita con l’assegno periodico da quantificarsi sulla base del quantum ricevuto sino al momento della morte, dell’entità del bisogno, della consistenza dell’eredità e delle condizioni economiche degli eredi.
Anche il coniuge divorziato percettore dell’assegno divorzile pur perdendo i diritti successori può rivalersi sull’eredità dell’ex compagno scomparso avendo diritto ad un “assegno successorio” a carico dell’eredità.

Il mantenimento non viene meno automaticamente con il sopraggiungere di fatti estintivi ma in seguito all’intervento dell’autorità giudiziaria con l’emanazione di una sentenza che accerta l’estinzione dell’obbligazione ex art. 710 c.p.c. o che omologa le modifiche effettuate dai coniugi.

(Sentenze tratte da www.studiocataldi.it quotidiano giuridico) 

mercoledì 25 febbraio 2015

L'assegnazione della casa coniugale nei giudizi di separazione e divorzio


Nei giudizi di separazione e divorzio, oltre agli aspetti economici relativi alla determinazione dell’assegno di mantenimento, questione di rilevante importanza riguarda il provvedimento di assegnazione della casa coniugale.
Per casa familiare si intende l’abitazione in cui la famiglia effettivamente abiti in modo continuativo, ovvero quell'abitazione che presenta le caratteristiche della abitualità, stabilità e continuità.
La Corte di Cassazione ha stabilito che l’art. 155 quater cod. civ., nello stabilire che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, risponde al’esigenza, prevalente su ogni altra, di conservare ai figli di coniugi separati l’habitat domestico da intendersi come centro degli affetti, degli interessi e consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare ed a tale ratio devono ispirarsi anche le determinazioni sula revoca dell’assegnazione della casa familiare. (Cass. civ. Sez. I, 9 agosto 2012, n. 14348, in Il caso.it, 2012).
La regola generale è la tutela dell’interesse dei figli, ovvero garantire loro la conservazione dell’ambiente domestico, ovvero il quartiere dove vive, la scuola, le amicizie e quant'altro rientri nelle proprie abitudini quotidiane.


ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE E NUOVA CONVIVENZA

L’art. 155 cod.civ. prevede che il diritto alla casa familiare viene meno quando l’assegnatario:
- non abiti più o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare;
- oppure conviva di fatto con altra persona o contragga nuovo matrimonio.
Questa norma però, è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza n. 308 del 29.07.2008 ha stabilito che a decisione circa l’assegnazione della casa coniugale anche nel caso di nuova convivenza non vada esclusa a priori ma debba essere considerata caso per caso tenendo conto del supremo interesse del minore.
Anche la Corte di Cassazione è intervenuta sulla questione e con sentenza n. 15753 del 24.06.2013 ha stabilito che non perde il diritto all'assegnazione della casa coniugale l’ex coniuge comproprietario ed affidatario dei figli che conviva nell'abitazione con un nuovo compagno.
La Cassazione ha infatti stabilito che, nel caso di nuova convivenza, va sempre fatto prevalere l’interesse dei figli strettamente connesso “allo sviluppo psico-fisico di questi ultimi ed al tempo trascorso nella casa coniugale”.
Dunque, quando l’interesse dei figli lo richieda, il genitore che conviva con un nuovo compagno resta affidatario della casa coniugale.

ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE IN ASSENZA DEI FIGLI

Al coniuge non proprietario dell’immobile non spetta generalmente il diritto all'assegnazione della casa coniugale.
Tuttavia, la questione di complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi ed a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento.
Alcuni giuridici ritengono che l’assegnazione della casa coniugale può essere richiesta al Giudice nell’ambito della domanda di mantenimento, ma presuppone un’esplicita istanza in mancanza della quale non sussiste in capo al Giudice stesso un dovere ed un potere di assegnarla.
La maggioranza dei giudici esclude tale possibilità, poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo quantificando la somma di denaro da versare, ed il giudice non può imporre al debitore di estinguere il suo obbligo con l’assegnazione dell’abitazione.
(Fonte: www.dirittierisposte.it)

CASA FAMILIARE GRAVANTE DA MUTUO IPOTECARIO

La sentenza n. 20139 del 3 settembre 2013 emessa dalla Corte di Cassazione, ha stabilito che il giudice può decidere autonomamente l'importo dell'assegno di mantenimento, svincolandosi così dalle precise richieste dei due ex coniugi. In pratica la somma da versare e le voci che comporranno questa somma saranno a discrezione del giudice incaricato.
Nel procedimento preso in esame, il Tribunale ha infatti stabilito alcune spese che l'assegno di mantenimento avrebbe dovuto coprire, e fra esse figura il mutuo per la casa che, sempre nel caso specifico, sarà coperto per la metà dell'importo dal coniuge obbligato al versamento dell'assegno.
Per la Cassazione non è stato un dato dirimente il fatto che la casa familiare fosse stata assegnata all'ex moglie, includendo ugualmente il pagamento della metà della rata del mutuo fra le spese dell'assegno di mantenimento. Naturalmente questo è un caso particolare ed ogni altro verrà vagliato in maniera indipendente.
Si dovrà però tenere conto del fatto che ormai la rata del mutuo non esula dall'assegno di mantenimento, ma che potrà esservi compresa venendo incontro alle necessità del coniuge economicamente più debole e svantaggiato.
(Fonte:http://miseparo.pianetadonna.it/soldi-e-casa/casa/assegno-mantenimento-coprira-rata-mutuo.html , consultato il 25 febbraio 2015)     





martedì 24 febbraio 2015

Stalking e violenza: ancora troppo silenzio


Stalking e violenza: ancora troppo silenzio

Scritto da Dott.ssa Simona Lauri - Psicologa Milano. Scritto in Donne e mamme 
 opuscolo realizzato all’interno di un progetto finanziato dalla Regione Siciliana e dall’Assessorato Regionale della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro, dal titolo  
"Stalking e violenza: ancora troppo silenzio, una proposta di intervento."

Le informazioni sono utili per gli ormai frequenti casi di stalking e violenza domestica subita dalle donne e dai minori.
ll tuo compagno/coniuge/fidanzato:
Ti chiama e/o ti invia insistentemente sms quando non siete insieme 
Ti chiede costantemente di dirgli dove vai, chi vedi e cosa fai 
Ti controlla economicamente e ti chiede come spendi i soldi 
Critica il tuo modo di vestire e pretende che tu cambi abbigliamento se a lui non piace

Quelli appena descritti sono tutti piccoli segnali, esistono poi delle vere e proprie strategie di controllo:
Al tuo compagno/coniuge/fidanzato non gli piace il fatto che hai delle amiche 
Non vuole che frequenti i tuoi famigliari 
Si infastidisce se rimani sola con altre persone 
Qualche volta ti ha rimproverato davanti ad altre persone 

Le strategie di controllo illustrate rappresentano tutta serie di comportamenti che mirano a creare una situazione di isolamento. A queste possono aggiungersi altre situazioni:
Ti mette paura, ti insulta o ti umilia 
Minaccia di farti togliere i bambini 
Minaccia di suicidarsi 
Ti sottrae i tuoi documenti più importanti 
Minaccia di fare del male ai tuoi famigliari 

Accanto a questi comportamenti e strategie, esistono anche vere e proprie azioni di intimidazione:
Ti ha picchiato, spintonato 
Ti ha obbligato ad avere rapporti sessuali 
Ha distrutto o buttato via oggetti/cose per te importanti 

Se ti accorgi, dunque, che il tuo uomo ti controlla, ti isola, ti intimidisce, ti minaccia e aggredisce: STAI SUBENDO VIOLENZA E SEI IN UNA SITUAZIONE DI RISCHIO.

Cosa fare?
Chiedere aiuto e denunciare i fatti. Rimanere nel silenzio non aiuta, può solo peggiorare le cose. Devi essere tu a fare il primo passo. La violenza contro le donne ed i bambini è un reato e in quanto tale va denunciato.
Una definizione di violenza contro le donne
“Qualsiasi azione di violenza fondata sull’appartenenza sessuale che comporta o potrebbe comportare per le donne che ne sono bersaglio, danni o sofferenze  di natura fisica, sessuale o psicologica, ivi compresa la minaccia di mettere atto simili azioni, la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata.” (2002 Consiglio di Europa).

ESISTONO DIVERSI TIPI DI VIOLENZA:
FISICA: Ogni forma di violenza contro la donna , il suo corpo, le sue proprietà. Esercita violenza fisica: chi ti spintona, rompe i tuoi oggetti personali, minaccia di toglierti i figli, ti schiaffeggia e ti picchia, ti dà calci, ti brucia con le sigarette, ti sequestra, ti impedisce di uscire o fuggire, etc... 
ECONOMICA: Ogni forma di privazione e/o controllo sull’autonomia economica della donna, che limita o impedisce alla donna stessa di disporre di denaro, di fare liberamente acquisti, di avere un proprio lavoro. Esempi di violenza economica sono: ti costringe a fare debiti, tenerti in una situazione di privazione continua, rifiutarsi di pagare un assegno di mantenimento, licenziarsi per non pagate gli alimenti, impedirti di lavorare o mantenere il tuo posto di lavoro. 
SESSUALE: Ogni imposizione di pratiche sessuali non desiderate sia da parte di estranei che di conoscenti e/o partner. Esempi: il partner ti impone comportamenti e rapporti sessuali contro il tuo desiderio, ti costringe ad utilizzare materiale pornografico, ad avere rapporti sessuali in presenza e con altre persone, ti insulta, umilia o brutalizza durante il rapporto. Tra le violenze sessuali rientrano anche: la tratta delle donne a scopo sessuale, le mutilazioni genitali e i matrimoni forzati. 
PSICOLOGICA: Consiste in attacchi diretti a colpire la dignità personale della donna, forme di mancanza di rispetto, atteggiamenti volti a ribadire continuamente lo stato di subordinazione e inferiorità della donna nei confronti dell’uomo. Esempi: sminuisce la tua femminilità e la sessualità, ti offende anche nel tuo ruolo materno, ti insulta, ti umilia, ti denigra anche in presenza di altri, ti controlla e ti isola da parenti e amici, minaccia te, i tuoi  figli e la tua famiglia di origine ,ti  fa sentire in colpa, etc.. 
STALKING: La violenza psicologica può manifestarsi tramite vere e proprie persecuzioni e molestie assillanti che hanno lo scopo di indurre la donna ad uno stato di allerta, di emergenza, di stress psicologico. Esempi: telefonate, sms, e-mail, continue visite indesiderate e anche, il pedinamento, la raccolta di informazioni sulla donna e sui suoi movimenti, la persecuzione, inoltre, può arrivare fino a vere e proprie minacce. Comunemente conosciuto come stalking (“appostarsi”), questo comportamento è attivato non solo da sconosciuti ma anche da familiari solitamente mossi dal risentimento o dalla paura di perdere il controllo sulla vita della donna. 

CONSEGUENZE DELLA VIOLENZA
paura della violenza 
SULLE DONNE: La violenza e lo stalking procurano gravi conseguenze fisiche e/o psichiche, alcune con esiti fatali. Gli effetti più immediati consistono in ematomi, fratture e altro. La violenza implica un’invasione del sé, può annientare il proprio senso di sicurezza, la fiducia in sé stessa e negli altri, procura un senso di impotenza, passività, debolezza, ansia, isolamento, confusione, incapacità di prendere decisioni, paura generalizzata. La violenza e lo stato di stress conseguente possono influire inoltre sulla salute delle donne: disturbi ginecologici e gastrointestinali, dolori cronici, astenia cronica e cefalea persistente, depressione, attacchi di panico. 
SUI BAMBINI: Prende il nome di violenza assistita, la condizione a cui viene sottoposto il minore che assiste a qualunque atto di violenza fisica, verbale, economica agita contro la madre o altra figura familiare di riferimento: questi bambini e queste bambine denotano problemi di salute e di comportamento, tra cui disturbi del peso, di alimentazione e del sonno. Possono avere difficoltà a scuola e non riuscire a sviluppare relazioni intime e positive. Nei bambini si coglie un’interiorizzazione della violenza come modo di risolvere i conflitti. Nelle bambine una maggiore probabilità di accettare la violenza come norma.